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Storia e Storie

La nobiltà scalese in Costa d’Amalfi: origine, ascesa politica ed economica

Inserito da (Maria Abate), venerdì 20 aprile 2018 13:58:30

Di Antonio Mammato

La prima nobiltà si affermò ad Amalfi tra il IX e il X secolo, epoca in cui la città si rese completamente autonoma dal ducato di Napoli. L'XI secolo, invece, può essere considerato il secolo di maggior prestigio per la società amalfitana: la ricchezza dei traffici, i guadagni e la formazione di grandi patrimoni furono i fattori fondamentali di una profonda evoluzione della società. A partire dalla seconda metà del secolo sempre più frequente fu L'uso del titolo di dominus da parte dei nuovi esponenti dell'aristocrazia, chiaramente distinguibili da quelli di stirpe comitale, poiché fondavano il loro prestigio e la loro fama non più sull'antichità della stirpe, ma sul successo dei traffici marittimi.

Un elemento nuovo è rappresentato dal fatto che non solo ad Amalfi ed Atrani ma anche a Scala e a Ravello è documentata la presenza di questa nuova aristocrazia di domini, attiva nell'amministrazione politica delle due città. È del 1127 un documento in cui è attestata per la prima volta l'esistenza della Civitas Scalensium, amministrata da questa nuova classe di domini, affiancata da una curia formata da iudices e curiales, simile a quella già esistente ad Amalfi. La nascita della Civitas Scalensium o Scalarum è, inoltre, legata al graduale sviluppo demografico e urbano. Una trasformazione, questa, che comportò il passaggio da un agglomerato sparso di casali a un insediamento urbano circondato da una cinta muraria.

Lo stesso Matteo Camera nella sua Istoria precisò come lo sviluppo della città fu in qualche modo legato alla presenza della classe aristocratica, ricca e generosa, totalmente scomparsa insieme all'opulenza cittadina negli anni in cui egli stesso scriveva. Per il medioevo lo storico amalfitano propone un elenco molto nutrito di famiglie aristocratiche:

D'Afflitto, Sasso, Bonito, Trara, Spina, Coppola, de Pando, Frisaro, Sannella, Alfano, Confalone, Sebastiana, Ristaldi, Staibana, Scrignara, Imperatore, Sclano, Bonalma, ecc.

Alcune di queste, tuttavia, sembrano aver perso nel corso del XV secolo la loro influenza politica ed economica, e non compaiono affatto nei documenti del Falcone. In età normanna la classe dei domini di Scala divenne ancora più ricca ed influente. Dopo aver esteso la propria sfera d'azione all'intero territorio amalfitano, occupando ruoli di prestigio sia in ambito ecclesiastico, sia in ambito politico, ampliò il proprio orizzonte verso gli altri centri del Regno.

La maggior parte di queste famiglie, una volta accumulato un patrimonio di tutto rispetto, riuscì a legittimare la propria appartenenza al ceto aristocratico attraverso accorte politiche matrimoniali: è quello che avvenne per esempio per la famiglia Coppola, che già nel corso del XII secolo occupò un posto importante all'interno della società scalese, ufficializzato dal legame con l'aristocrazia atranese. Gli esempi ricavabili dai documenti sono molti; tuttavia, è opportuno precisare che per tutta l'epoca normanno-sveva i contratti matrimoniali rappresentarono lo strumento privilegiato per legittimare l'appartenenza al ceto aristocratico, mentre l'influenza politica si realizzava attraverso l'occupazione di ruoli fondamentali nella gestione del potere.

Alcune famiglie nobili di Scala e Ravello tentarono di rendere più rilevante l'origine della propria stirpe; mentre, infatti, la tradizione comitale amalfitana si richiamava, attraverso la lunga memoria genealogica, ai comites, governatori della città all'epoca del ducato indipendente, le famiglie d'Afflitto, Bonito, Sasso ricercarono in un contesto più o meno fantastico, di stampo romano-cristiano, le loro origini. I d'Afflitto, che in epoca normanno-sveva erano già una famiglia tra le più potenti, si consideravano discendenti di S. Eustachio, maestro dei cavalieri e guerriero romano che si convertì al cristianesimo in seguito a un'apparizione del Cristo e fu martirizzato verso il 103 d.C. sotto Traiano. La tradizione racconta che fu "fritto" all'interno di un bue di bronzo reso infuocato, da fricto quindi deriverebbe il nome della famiglia. I Bonito, invece, affermavano di discendere da un senatore romano di nome Bonetus, i cui successori si sarebbero trasferiti a Scala durante i secoli delle invasioni barbariche; i Sasso, infine, una delle famiglie più antiche, legò la propria fama al celebre Gerardo Sasso priore dell'ospedale di S. Giovanni di Gerusalemme e fondatore nei primi anni del XII secolo dell'Ordine dei Cavalieri Gerosolimitani.

Ma è con Carlo d'Angiò e l'instaurazione della nuova dinastia che si registrarono le trasformazioni più significative per la nobiltà di Scala. Le famiglie amalfitane furono tra quelle che più si adoperarono per il buon esito della spedizione angioina e per il consolidamento della dinastia. I d'Afflitto e i Frezza in modo particolare contribuirono finanziando l'impresa angioina con cospicue somme di denaro. In quest'epoca occupavano ruoli fondamentali della vita ecclesiastica della diocesi: Costantino e Matteo furono, infatti, vescovi della città nella prima parte del Duecento.

A Scala le principali famiglie controllavano e gestivano la vita politica della città: i d'Afflitto coprirono ruoli di notevole rilevanza nell'amministrazione e nella gestione del potere; come Andreucius de Afflicto iudex dictae civitatis Scalarum, citato dal Pansa; altri, invece, rivestirono incarichi per il fisco, oltre a partecipare attivamente alla vita ecclesiastica della diocesi, come gli abati Andrea e Lancillotto, membri del capitolo scalese nella prima metà del Trecento. Continuavano, inoltre, a possedere e a gestire la chiesa di S. Eustachio, fondata con ogni probabilità già nel X secolo, e quelle di S. Angelo e S. Stefania di Pontone.

In età angioina primeggiò per grandezza e ricchezza anche la famiglia Trara. I suoi membri si affermarono a partire dall'inizio della dominazione angioina: secondo la testimonianza del Camera, Ruggero Trara si distinse per le sue doti cavalleresche e per essere stato segretario di Carlo I; in patria, invece, i Trara ricoprirono numerose cariche amministrative. Come i d'Afflitto, anch'essi ebbero peso nella vita ecclesiastica della città, soprattutto nel XIV secolo: Angelo fu membro del capitolo diocesano e rettore della chiesa di SS. Giuliano e Marciano di Pontone, nel 1320 fondò nella contrada di Campoleone l'ospedale di S. Angelo de Traris, costruito nei pressi del palazzo gentilizio di famiglia, di fronte alla chiesa di S. Pietro a Campoleone (nota anche come S. Pietro de Castanea), ospedale su cui esercitarono diritto di giuspatronato. All'ospedale fu annessa la chiesa di S. Angelo de Trara, fondata sempre dallo stesso Angelo, che la dotò di cospicue rendite, riservando ai suoi eredi il diritto di eleggere un rettore o un amministratore. Nel 1484 ad amministrare il cospicuo patrimonio dell'istituto religioso fu Giovanni Trara, patrono et procuratorem perpetuo ut dixit venerabilis Cappelle seu Hospitali Sancti Angeli Trare, che con Simone Pisano sacerdote e cappellano diede in affitto per tre anni ad Antoniocto de Piro un castagneto (denominato silva magna sita in loco Campi que dicitur La Selva Grande) e la metà di un bosco sito (delo Petrillo), entrambi di proprietà della chiesa, per la somma di 21 tarì e 5 grana l'anno. Nel corso del Quattrocento alcuni esponenti di questa casata risultarono attivi nel commercio di materie prime per la produzione tessile, operazioni che, al pari di quelle effettuate dagli altri mercanti locali, non raggiunsero mai dimensioni considerevoli.

Il forte legame con la chiesa, quale chiaro segno di potenza e importanza sociale, contraddistinse anche la famiglia Coppola: furono membri del capitolo il presbiter Manfredo, mentre Giacoma fu badessa del convento di S. Cataldo de Ciliani. Per quanto riguarda i Bonito, nel XIII secolo essi godevano di particolare influenza nella vita politica, economica e sociale di Scala. Nel secolo successivo alcuni membri della casata, invece, s'erano trasferiti in altre città del meridione, come Ludovico, dottore in legge, che nel 1383 fu nominato arcivescovo di Palermo da Urbano IV e nel 1395 fu creato arcivescovo di Antibari in Albania, fino a giungere alla porpora cardinalizia nel 1408. Il palazzo di famiglia, costruito nel XIII secolo, si trovava a Pontone: nelle fonti è spesso menzionato l'hospitio domorum, costituito da stanze coperte a volte, camminate, cucina, deposito terraneo, fondaco e cortile. La domus doveva essere una costruzione estremamente ampia, visto che vi abitavano diversi nuclei familiari, tutti appartenenti alla stessa stirpe. La famiglia possedeva inoltre vigne e oliveti sparsi per tutto il territorio dell'antico ducato.

Nel periodo angioino anche la famiglia Frisari occupò un ruolo di tutto rispetto nella società locale: nel 1354 contribuì economicamente alla ricostruzione della cattedrale, come è testimoniato dal bassorilievo marmoreo recante lo stemma di famiglia posto sopra il portale d'ingresso della cattedrale.

I de Pando furono grandi proprietari terrieri non solo a Scala, giacchè i fratelli Filippo e Guglielmo possedevano selve e uliveti ad Amalfi in località Pustopla. Nelle fonti di età sveva compaiono al servizio di Federico II come esperti nel cambio monetario. Come il già citato Tommaso de Pando, infatti, nel 1222 ricevette il compito di distribuire i nuovi augustali d'oro nella terra di S. Germano. La famiglia risiedeva a Campoleone, nell'attuale via S. Andrea de Pando, la cui denominazione deriva dall'antica chiesa da loro fondata nei pressi della abitazione di famiglia, un grande edificio descritto nei documenti del Fondo Mansi come una dimora sfarzosa, ornata da colonne e da marmi.

Sul finire del Quattrocento, sulla base delle notizie offerte dalla documentazione notarile locale, sembra che la famiglia de Pando non operi e non abbia più interessi a Scala. Nei documenti del notaio Giovanni de Falcone di Scala, infatti, non compare nessun esponente di spicco della famiglia e in più, a partire dal 1482, essa non compare più come proprietaria dei beni siti a S. Andrea. Nel documento rogato nel mese di novembre di quell'anno Angelo d'Afflitto risultava essere proprietario di questi beni, venduti poi a Luciano de Mura. Anche Guido Coppola possedette beni nella zona e nello stesso anno era proprietario della chiesa di S. Andrea, all'interno della quale si fece seppellire nel 1496. Con ogni probabilità sul finire del XV secolo la famiglia ha abbandonato la patria d'origine per trasferirsi in altri centri del regno, dove ancora vivi dovevano essere i suoi interessi economici.

In età angioina si registrarono i principali interventi di restauro degli edifici e dei monumenti, come conseguenza dell'affermazione di un ceto aristocratico ricco e influente, capace di organizzare e gestire la vita politica e sociale dell'universitas. Il forte legame con la corte, unito con gli interessi economici offerti dalla nuova capitale del regno, spinsero molti membri delle antiche famiglie a trasferirsi a Napoli e a risiedere nel centrale quartiere della Scalesia. Contemporaneamente, nuove famiglie riuscirono ad accedere al rango nobiliare, mentre una parte consistente della popolazione, composta in gran parte da artigiani o piccoli proprietari terrieri, andrà a costituire quella che in età moderna prenderà il nome di borghesia. Sono proprio costoro che, nelle fonti notarili di fine Quattrocento, compaiono come protagonisti di una realtà economica ormai ferma a un livello mediocre.

L'età feudale (1398-1583) per Scala rappresentò un periodo critico, i fasti del passato sono ormai un lontano ricordo, riportati in vita da quella piccola parte della nobiltà residente all'estero che in un modo o nell'altro continuò a essere legata alla terra d'origine. Le guerre, con le conseguenti epidemie e carestie, insieme all'inevitabile calo demografico, causarono l'abbandono della città da parte dei cittadini più illustri ed economicamente più attivi, con una conseguente diminuzione delle attività di scambio e degli affari commerciali. Fu l'avvio di un processo di ruralizzazione della città: mentre le antiche case patrizie cadevano in rovina, la vegetazione spontanea cominciò ad occupare lo spazio dei campi coltivati.

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