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Tu sei qui: Storia e StorieUN "PURO DI CUORE" IL BARMAN ALFONSO
Scritto da (admin), domenica 17 maggio 2020 19:12:06
Ultimo aggiornamento domenica 17 maggio 2020 19:12:06
di Sigismondo Nastri
Quando passo dinanzi al Gran Caffè la mente mi si affolla di ricordi e il cuore di nostalgia. Ci abbiamo trascorso una vita, noi giovani squattrinati (mi riferisco alla mia generazione, ovviamente): occupavamo un tavolo e nessuno ci veniva mai a chiedere di consumare. E anche dopo la chiusura del locale, a notte fonda, continuavamo a star seduti lì, a discutere, fantasticare, e magari ci rimanevamo ad attendere il sorgere dell'alba. Don Dino, il proprietario, era un gran signore.
Anche Alfonso, il barman-cameriere-factotum, lo era. Il 16 giugno 1955, in un articolo sul Quotidiano, mi venne spontaneo definirlo un "puro di cuore".
Riferii di un grosso libro, tenuto in bella vista, nel quale egli segnava le offerte raccolte per la Festa di Sant'Antonio, protettore dell'omonimo popoloso rione dove aveva casa. A conclusione di ogni giornata, controllando l'incasso, gli si illuminava il viso di un sorriso di soddisfazione, perché sera dopo sera poteva migliorare i suoi piani per fare una festa veramente bella. «Invero l'entusiasmo con il quale quest'uomo ogni anno organizza la festa in onore di S. Antonio è encomiabile», scrissi. Perciò il rettore della Chiesa, Don Bonaventura, lo lasciava fare, ne accettava di buon grado la collaborazione.
Bisognava vederlo, Alfonso, quella sera del 13 giugno, dietro il bancone, con la giacca bianca e la cravatta a farfalla, ricevere le congratulazioni di tutti gli amici, mentre, dalle cento e più finestre del rione, migliaia di lampade riflettevano le loro luci sul mare. E intanto la statua del santo scendeva dalla chiesa dell'ex convento francescano, che si vuole fondato proprio dal Poverello d'Assisi, e si avviava a fare il giro della città, seguita da una grande folla di fedeli, assiepata sui marciapiedi e agli angoli delle vie. A mare si erano date convegno numerose barche a riceverne la rituale benedizione; le campane suonavano a distesa. La banda di Ravello, che accompagnava la processione, si dava un gran da fare.
Alfonso si affacciò un attimo davanti al caffè, salutò col segno della Croce e tornò al suo lavoro. Più tardi, alle prime note della Traviata, era già pronto col fascio di fiori da offrire al maestro. Ogni tanto usciva a dare un'occhiata o ad applaudire qualche assolo del cornettista durante l'esecuzione del Barbiere di Siviglia. Si era premurato di far allestire il palco dell'orchestra tra gli alberi dello stradone, proprio dinanzi al Caffè. Esaurito il programma musicale, sul porto incominciò lo spettacolo dei fuochi d'artificio. Si spensero le luci e il cielo si illuminò di colori allo scoppio della prima granata. Alfonso non resse all'emozione e, quando toccò alla cosiddetta bomba di chiusura, corse da Don Bonaventura, gli strinse la mano, gliela baciò, e gli disse: «Munzignó', Sant'Antonio v'adda fà campà cient'anne!». Monsignore sorrise. Commosso soprattutto per lui, per la semplicità e sincerità dei suoi sentimenti. Perché Alfonso era veramente un "puro di cuore".
© Sigismondo Nastri
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