Tu sei qui: Storia e StorieAntonio Del Pizzo, e la luce fu (a Tramonti)
Inserito da (Maria Abate), giovedì 1 marzo 2018 12:13:22
Di Sigismondo Nastri
Il pittore Mario Carotenuto, rievocando la sua infanzia a Tramonti, definiva quel paese "un'Arcadia", vale a dire un luogo di vita agreste e serena. Non c'era acqua potabile, non c'era luce elettrica, non c'erano strade. Solo alberi e frutti. E, ovviamente, gente che lavorava, in montagna, nella pastorizia, nell'agricoltura, nell'artigianato. La giornata, com'è intuibile, iniziava alle prime luci dell'alba e si chiudeva al calare delle ombre.
Nel cuore verde della Costiera amalfitana Tramonti era indubbiamente un paese arretrato, rispetto a quelli della fascia costiera ed a quelli più ricchi di testimonianze storiche, artistiche e paesaggistiche, che avevano le loro fonti di reddito nel turismo e in attività tradizionali quali la pesca, i traffici marittimi, i mulini, i pastifici, le cartiere, che all'epoca funzionavano a pieno regime. Tramonti rappresentava quell'altra faccia del comprensorio amalfitano alla quale spesso ha fatto riferimento Raffaele Ferraioli, sindaco di Furore e già presidente della Comunità Montana, per evidenziare lo sviluppo disarmonico del territorio, a danno delle aree interne.
Negli anni venti del Novecento non c'era la luce elettrica. E non ci sarebbe arrivata, per chissà quanto altro tempo, senza il coraggio e l'intraprendenza di un uomo, Antonio Del Pizzo (1.1.1897 - 21.4.1966), che meriterebbe di essere ricordato con l'apposizione di una lapide o l'intitolazione di una via. Ma la riconoscenza, si sa, o quanto meno il giusto riconoscimento delle altrui virtù, è erba rara, che stenta a crescere dalle nostre parti.
La SEDAC, l'azienda elettrica della Campania, dopo una lunga trattativa con l'amministrazione civica, s'era rifiutata di realizzare una rete d'illuminazione nel comune, sia per difficoltà tecniche sia per problemi di costi e ricavi. La decisione, grave, al di là delle motivazioni addotte, non teneva conto delle esigenze sacrosante e delle aspettative di una popolazione di oltre cinquemila abitanti, distribuita in tredici villaggi distanti e non collegati tra loro, quindi difficilmente raggiungibili. Col suo rifiuto, la SEDAC negava alla gente di Tramonti ogni prospettiva di progresso civile.
Antonio Del Pizzo prese impegno con sé stesso che vi avrebbe provveduto da solo, nonostante le perplessità e le incomprensioni dalle quali si sentiva circondato. Ma al personaggio, appartenente a un'antica stirpe di cartari, primo figlio di numerosa famiglia, non difettavano idee, capacità, tenacia. Eppure, da un punto di vista professionale, egli poteva considerarsi un uomo realizzato, appagato: dirigeva una dipendenza del Banco di Napoli nel capoluogo campano. Prima di conquistarsi l'impiego fisso, era stato chiamato a combattere nella guerra del 1915-1918, finendo anche prigioniero. Tornato dal fronte, riprese a frequentare l'università a Roma, cercando di recuperare il tempo perduto, e contemporaneamente, per mantenersi allo studio, si mise a lavorare come amministratore di alcune aziende agricole della costa, produttrici di agrumi, che intrattenevano rapporti commerciali con l'estero. Questo duplice impegno non gli impedì di conseguire la laurea in economia e commercio a soli ventitré anni di età.
Nel 1929 Antonio Del Pizzo sacrificò il posto in banca e una carriera brillante per porsi al servizio del suo paese e della sua gente. Dimostrandosi, oltretutto, imprenditore abile e lungimirante. Creò la "Centrale elettrica S. Elia" (CESE), una piccola impresa artigiana che si fece carico di costruire l'impianto, di produrre l'energia elettrica e di portare la luce in tutte le frazioni di Tramonti. Dovette però superare tutta una serie di difficoltà determinate da diffidenza, incomprensione, ostilità manifesta. La centrale, realizzata in località Ferriere, ai margini del torrente Reginna, resta un monumento di archeologia industriale che andrebbe salvaguardato.
Alla morte di Antonio Del Pizzo, il 21 aprile del 1966, un giornale scrisse: "Ha finito di battere il cuore di un grande benefattore". Due anni dopo, la Centrale S. Elia veniva assorbita dall'ENEL, in applicazione della legge che nazionalizzava l'energia elettrica.
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